A 23 anni dall’omicidio di Carlo e dalle torture da parte delle forze dell’ordine nella caserma di Bolzaneto e alla scuola Diaz il dolore di chi non cede alla tentazione di dimenticare non accenna a placarsi, anzi.
Carlo, insieme a chi in quei giorni ha subito violenze inaudite, ha pagato con la vita il tentativo da parte del Movimento No Global di mettere a critica un sistema predatorio di cui oggi viviamo le terribili conseguenze. Nel 2001 non avevamo ragione: il presente è forse peggiore di quello che avevamo previsto. Lo vediamo nella quotidianità, a livello locale, in un paese sempre più impoverito in cui i servizi essenziali in molti casi non sono più garantiti e in cui progressivamente principi basilari di solidarietà e mutuo aiuto vanno scomparendo insieme alla capacità di fare comunità, surclassati da nuovi valori, se così possiamo chiamarli, che si basano su un individualismo sfrenato sradicato dalla storia, in cui sopravvivere senza guardare in faccia niente e nessuno, che sia la persona migrante o il collega in difficoltà nel proprio posto di lavoro, è ormai la regola.
Lo vediamo a livello globale, in un presente costellato di conflitti e guerre di cui sappiamo tutto, di cui vediamo ogni oscenità in diretta ma che nonostante questo proseguono indisturbati senza che venga in mente che forse, lontano dall’essere fatti eccezionali, siano la conseguenza necessaria di un capitalismo che nutre sé stesso a partire dalle crisi di cui è esso stesso la causa. Lo stesso sistema di cui alternativamente patiamo e beneficiamo perché nati nella parte “fortunata” del mondo, e di cui le conseguenze peggiori vengono pagate “dagli altri”, quelli che vivono o scappano da luoghi in cui le plurali forme di neocolonialismo alimentano regimi, espropriano ricchezze e devastano culture.
Lo vediamo nel razzismo dilagante, da sempre fenomeno strutturale alla riproduzione capitalistica. E sappiamo tutto delle cosiddette “rotte migratorie”, che a dispetto del nome rassicurante che porta alla mente placidi stormi di uccelli o simpatici animali marini nel loro naturale (oggi sempre meno) spostarsi da un capo all’altro del mondo, sappiamo bene essere esodi forzati e gestiti congiuntamente da mafie e governi corrotti, gli stessi governi che il nostro paese finanzia proprio per imprigionare, torturare, uccidere e stuprare persone che scappano da condizioni di vita che noi stessi abbiamo prodotto.
Lo vediamo infine, e non perché la lista sia terminata, nell’ondata di consenso raccolta dai partiti di estrema destra che, proprio di quei valori, insieme ad una buona dose di misoginia, si fanno portatori. Partititi dichiaratamente schierati a favore dei grandi capitali che ottengono la fiducia di chi subisce le conseguenze dirette delle stesse idee economiche che quegli stessi partiti propugnano: lo vedete il disastro?
Quello che vediamo poco, sicuramente, è quello che, a causa di una vuota retorica nazionalista e reazionaria, stiamo rischiando di dimenticare: un’Italia da sempre crocevia di culture e differenze, ricca di un patrimonio ambientale e culturale da difendere e di una storia di resistenze di cui ancora oggi siamo debitor. Così come non dobbiamo dimenticare di come nacque il fascismo: in difesa dei padroni, più o meno grandi, per reprimere con la violenza e in tacito accordo con il governo le proteste dei lavoratori della terra e degli operai. Anche allora tanti morirono, come Carlo, come tanti altri dopo di loro, solo per aver detto, vogliamo giustizia.
Ecco perché oggi brucia ancora e continuerà a bruciare! Perché la storia di Carlo di quelle giornate di Genova 2001 è la nostra storia, la storia di chi non si rassegna, di chi non ha ricette pronte da seguire ma sa chiaramente cosa non vuole essere: un complice.
Ed è per questo che ricordare Carlo e le torture della Diaz e Bolzaneto e la repressione violenta nelle strade di Genova, nell’epoca dell’oblio forzato, è un impegno minimo ma necessario, non una commemorazione ma un fare memoria collettiva. Senza genealogia non siamo niente, e la nostra, è la storia di chi non si è arreso mai, la storia di Carlo Giuliani.